Perchè le Banche non (2)

di Michele Previati, Consulente Senior Area Banche e Finanziamenti di MCS Consulting

Nel consueto report mensile, l’ABI ha reso noto che le sofferenze bancarie lorde, nel mese di maggio, hanno raggiunto quota 168,6 miliardi di euro, in aumento del 24% rispetto allo stesso periodo del 2013.
Si tratta di circa 32,9 miliardi in più rispetto a fine maggio 2013, un incremento annuo di circa il 24%. Anche le sofferenze nette registrano a maggio un aumento, passando dai 76,8 miliardi di aprile ai 78,7 miliardi di maggio. E’ quanto emerge dal rapporto mensile dell’ABI.
Il rapporto tra sofferenze lorde e impieghi raggiunge il 15,1% per i piccoli operatori economici, il 14,5% per le imprese e il 6,6% per le famiglie consumatrici. Il rapporto sofferenze nette su impieghi totali è risultato pari al 4,36% a maggio dal 4,23% di aprile 2014 (3,59% a maggio 2013; 0,86%, prima dell’inizio della crisi).
Sempre nello stesso rapporto, l’ABI fa sapere che, negli ultimi 2 anni, i prestiti al settore privato sono diminuiti di oltre 100 miliardi (Fonte: Adnokronos).

Quanto premesso per spiegare come il pacchetto articolato degli interventi posti in atto dalla BCE, da solo, non sarà sufficiente ad indurre le banche a concedere nuovi prestiti, o a concederli nella misura necessaria a contrastare l’evoluzione della crisi.
All’indomani della riunione della BCE del mese di maggio, nella quale Draghi disse che si stava discutendo di quantitative easing europeo, si annunciavano quelle che sarebbero potute essere le manovre per contrastare l’evidente deflazione persistente in alcuni paesi e le spinte disinflazionistiche in altri.

Il pacchetto ha comportato i seguenti interventi:
1) La BCE ha tagliato i tassi, portando il tasso sui depositi in territorio negativo: il tasso è stato ridotto di 10 punti base a 0.15%, il tasso marginale sui depositi è stato ridotto ed è sceso a – 0.10%, mentre il tasso marginale sui prestiti è stato portato a 0.4%.
La riduzione del tasso sui depositi in territorio negativo è volta soprattutto ad indebolire il tasso di cambio, ma anche ad incentivare le banche dei paesi “core”, ricche di liquidità, a cercare maggiori opportunità di rendimento, magari tornando a prestare alle banche periferiche, e/o all’economia reale;
2) La BCE effettuerà una serie di nuove TLTRO (Targeted Longer-Term Refinancing Operations, “operazioni target di rifinanziamento a lungo termine”), che si svolgeranno nell’arco di due anni e avranno maturità di circa 4 anni (scadendo nel settembre 2018). In una prima fase, due TLTRO saranno condotte a settembre e dicembre di quest’anno: le banche potranno richiedere fino ad un massimo del 7% del totale del loro attivo dedicato ai prestiti verso il settore privato dell’Area Euro (con l’esclusione dei prestiti alle famiglie per l’acquisto di case), alla data del 30 aprile 2014. La BCE stima in 400 miliardi l’ammontare iniziale potenzialmente richiedibile sulla base di questo vincolo. Successivamente, tra marzo 2015 e giugno 2016, avranno luogo altre aste TLTRO a frequenza trimestrale, in cui le banche potranno richiedere nuova liquidità, che potrà arrivare al massimo a tre volte e quella netta (ovvero la differenza tra i nuovi prestiti elargiti meno quelli rimborsati in scadenza) che nel frattempo avranno concesso da aprile 2014 e che risulterà essere in eccesso di uno specifico benchmark (che sarà basato su quanto sono cresciuti i prestiti nei 12 mesi precedenti aprile 2014). Se le banche partecipanti non supereranno questo benchmark nel periodo tra maggio 2014 e aprile 2016, dovranno restituire prima dei termini (a settembre 2016) tutta la liquidità ricevuta. Il costo della liquidità sarà dato dal tasso di rifinanziamento prevalente al momento della TLTRO, fisso per tutta la durata del prestito, più uno spread di 10 punti base;
3) La BCE ha deciso di intensificare i lavori preparatori per attivare un programma di acquisto di ABS e determinare le caratteristiche che questi strumenti dovranno avere per essere eligibili: lo strumento ideale, come specificato da Draghi, dovrà essere semplice (senza complessità nella struttura), reale (avente come sottostante un prestito al settore privato non-finanziario e non un derivato) e trasparente (con informazioni dettagliate, accessibili e comprensibili per la compravendita);
4) La BCE ha sospeso la sterilizzazione settimanale degli acquisti del programma SMP, il che immetterà pertanto nel sistema circa 160 miliardi di liquidità aggiuntiva (ed il cui eventuale “ri- parcheggio” presso la BCE è stato appunto disincentivato con il taglio del tasso sui depositi già effettuato);
5) La BCE ha infine esteso le aste ad aggiudicazione piena a tasso fisso (fixed-rate full allotment”) “…fino a quando sarà necessario e almeno fino a dicembre 2016” (la precedente scadenza era fissata a luglio 2015).
Queste sono le misure messe in campo dalla BCE per contrastare da un lato la stretta creditizia che attanaglia i paesi dell’area mediterranea (soprattutto) e dall’altro le spinte disinflazionistiche che rendono più ardua la possibilità di rientro dei debiti sovrani (ma non solo) verso sentieri di maggiore sostenibilità.

Pensare che le misure approntate dalla BCE, da sole, possano essere sufficienti a sbloccare il credito e che ciò possa avvenire nei tempi solleciti richiesti dall’evoluzione della crisi appare piuttosto difficile.
Partiamo dalla prima misura: la remunerazione negativa dei depositi bancari presso la BCE.
In realtà si tratta di una misura dissuasiva che dovrebbe indurre le banche a preferire altre soluzioni di impiego (prestiti), poiché i depositi presso la BCE sono diventati (marginalmente) più onerosi. A onor del vero, il maggior onere sostenuto, potrebbe essere ribaltato sui clienti delle rispettive banche. È difficile immaginare che le banche possano essere indotte a concedere maggiori prestiti con una misura che scoraggia una forma di possibile impiego della liquidità, ma potrebbero essere indotte a valutare altri tipi di impiego, senza con ciò immobilizzare la liquidità in operazioni di finanziamento.
Sul fronte delle altre misure, in attesa di un vero e proprio Qe, il ruolo chiave del pacchetto di stimoli messi in campo dalla BCE è ricoperto dal TLTRO (Targeted Long Term Refinancing).
Nella prima fase di lancio le banche potranno accedere a finanziamenti senza nessun “obbligo” o stimolo in capo alle banche nella concessione di prestiti a famiglie e imprese, per via della liquidità ottenuta nelle aste che verranno effettuate a fine anno. Le banche potranno richiedere fino ad un massimo del 7% del totale del loro attivo dedicato ai prestiti verso il settore privato dell’Area Euro (con l’esclusione dei prestiti alle famiglie per l’acquisto di case), alla data del 30 aprile 2014. Tra marzo 2015 e giugno 2016, avranno luogo altre aste TLTRO a frequenza trimestrale, in cui le banche potranno richiedere nuova liquidità, che potrà arrivare al massimo a tre volte quella netta (ovvero la differenza tra i nuovi prestiti elargiti meno quelli rimborsati in scadenza) che nel frattempo avranno concesso da aprile 2014 e che risulterà essere in eccesso di questo specifico benchmark. Per le aste trimestrali che verranno svolte da marzo 2015 a giugno 2016, le banche, potendo chiedere liquidità in virtù di un meccanismo moltiplicatore (fino a tre volte rispetto ai prestiti netti concessi nel periodo a decorrere da aprile 2014), è verosimile attendersi che possano rispettare questa soglia di ingresso già attraverso un limitato impiego in prestiti rispetto alla liquidità che otterranno nelle aste di fine anno, utilizzando l’ulteriore utilità ottenuta per altri fini.
Non va dimenticato che le banche, entro il prossimo mese di dicembre e il successivo mese di febbraio, dovranno restituire alla BCE circa 200 miliardi di euro ottenuti con le aste LTRO di fine 2011 e inizio 2012. Le prime aste TLTRO giungeranno a ridosso delle due scadenze, consentendo alle banche di ottenere liquidità che potrà essere utilizzata per rimborsare i prestiti alla BCE.
Considerando lo stato di fragilità del comparto bancario va segnalato che, consultando la recente Relazione Annuale di Bankitalia, si possono acquisire dati non del tutto tranquillizzanti sullo stato di salute del sistema bancario. A marzo 2014, il capitale e le riserve del sistema bancario, ammontavano complessivamente a 420 miliardi di euro. Su questa entità gravano crediti deteriorati per circa 319 miliardi di euro. Alla luce di questi dati è del tutto verosimile pensare che le banche italiane possano utilizzare la liquidità ottenuta dalla BCE, non tanto per la concessione di nuovi prestiti a famiglie e imprese, ma per promuovere forme di ristrutturazione di crediti problematici che altrimenti dovrebbero passare a sofferenze.
Se consideriamo i dati provenienti da CERVED, è possibile verificare che l’indicatore di rischio insolvenza delle società italiane rimane sui livelli massimi.
C’è da aggiungere che a complicare il quadro sopra descritto, intervengono anche ulteriori aspetti dal lato della domanda di credito e sulla capacità delle stesse imprese di ottenere linee di credito.
Dall’inizio della crisi sono aumentati esponenzialmente i soggetti insolventi (sia imprese che famiglie), ai quali è quindi preclusa ogni possibilità di accesso al credito. Le imprese, nella maggior parte dei casi, hanno subito significativi ridimensionamenti dei rispettivi bilanci, che hanno aggravato livelli di patrimonializzazione già critici.
Si consideri anche che la congiuntura economica appare ben lontana dal percorrere un sentiero di crescita robusto e duraturo tale da indurre le stesse banche a guardare al futuro con maggior ottimismo e a concedere maggior credito. Ad aggravare la situazione c’è da considerare anche l’ambiente ove operano le imprese italiane: la pressione fiscale a livelli record e l’eccesso di burocratizzazione costituiscono un freno alla pianificazione di investimenti (e quindi alla domanda di credito) e al fare impresa.