Foto Sadhaka Management

di Fabiana Salviato Consulente Senior Area Risorse Umane di MCS Consulting

Le origini

“Sadhaka” è un termine sanscrito utilizzato nelle discipline orientali che viene tradotto genericamente in “allievo” (oppure praticante religioso). Nel medioevo il termine era molto specifico ed era usato per indicare gli “iniziati”
Nelle religioni dharmiche un sadhaka è colui che segue un particolare Sadhana, ovvero un modo di vivere progettato per realizzare i propri ideali, generalmente di origine religioso-filosofica, ma anche come realizzazione di un proprio ideale personale di ricerca di equilibrio e saggezza.
La parola è legata al sadhu sanscrito, che deriva dal verbo Sadh che significa “realizzare”. Colui che deve ancora raggiungere l’obiettivo, viene definito “sadhaka”, mentre colui che ha raggiunto l’obiettivo viene definito “siddha”..
Le religioni dharmiche sono la famiglia di religioni originate nel subcontinente indiano. Includono l’antica religione vedica, l’Induismo e il Buddhismo, ma anche Ayyavalismo, Giainismo e Sikhismo. Le religioni darmiche sono una delle tre maggiori famiglie di religioni nel mondo
La filosofia del Sadhaka Management è nata dal pensiero pubblicato in un saggio scritto da un Maestro di meditazione indiano della Tradizione Himalayana: Maha Madaleshwara Swami Veda Bharati
Stephen Parker, che interverrà sul tema al XII Salone d’Impresa il prossimo Venerdì 16 maggio, è un divulgatore in USA e in EU di tale pensiero che attinge al ricco patrimonio dell’antica “Ethos” indiana (Meditazione, Yoga, Pranayama ecc..) per esprimere la sua vasta esperienza e saggezza nell’indicare la strada per raggiungere l’equilibrio interiore attraverso l’autogestione. Il libro infatti invita ad una costante:
• Auto-osservazione
• Auto-esame
• Auto-purificazione
• Auto- pacificazione

Il Maestro Swami afferma che il lavoro su sé stessi attraverso le pratiche di meditazione e l’applicazione dei principi suggeriti nel libro sarà fondamentale, non solo nelle relazioni personali-intime, ma produrrà effetti positivi anche nel relazionarsi con il mondo esterno, quindi anche in azienda, in ufficio, con i dipendenti.
Questi sono i principi enunciati dal Maestro:
• La radice della conquista oltre i sensi è l’umiltà e la disciplina (Vinaya).
• La radice di umiltà e di disciplina è il servizio agli anziani.
• Attraverso il servizio agli anziani si ottiene la conoscenza esperienziale e la saggezza (vi-jnana).
• La saggezza esperienziale, permette una completa realizzazione
• Coltivare e realizzare il sé, significa conquistare il sé.
• La conquista dell’autorealizzazione permette di raggiungere tutti gli obiettivi prefissati.
Sulla base di questo insegnamento, possiamo esaminare l’approccio moderno per capire se sia possibile seguire questi antichi ideali, soprattutto per la cultura occidentale e particolarmente nelle relazioni sociali di business, politica ecc..
Poiché il pensiero del Maestro Swami pone nella “saggezza esperienziale” (che ricordiamo si acquisisce soprattutto attraverso gli insegnamenti dei “saggi”) e che presuppone un atteggiamento umile nella persona che “sa di non sapere” (Socrate – filosofo greco n.d.r.) il fulcro dell’approccio da lui suggerito.
Quanto autocontrollo, sensibilità, umiltà e disciplina vengono utilizzati per addestrare noi stessi al successo? Quanta saggezza esperienziale in realtà serve a guidarci nei nostri affari? Che cosa si intende esattamente con saggezza esperienziale? Il termine “vi-jnana-saggezza esperienziale” spesso viene abbinata al termine “jnana-conoscenza” nei testi sacri. Qui, tuttavia, “esperienziale” non significa quello che otteniamo dalle nostre esperienze di vita quotidiana, significa un’esperienza spirituale che favorisce le nostre facoltà intuitive.
Come conciliare i concetti di cui sopra con la ricerca del successo nel mondo degli affari, dove dobbiamo sempre spingere, competere, affermare, combattere? La saggezza dei secoli dice che non è necessario assumere un atteggiamento aggressivo per avere successo.
Secondo tale pensiero il “sadhaka manager” è un leader democratico, che non ha bisogno di affermare la propria autorità per gestire i propri collaboratori, poiché attraverso un lavoro su sé stesso e, secondo il Maestro Swami, tramite la pratica della meditazione può coltivare, valorizzare, abbellire la propria personalità, con vantaggi molto concreti nella vita personale, interpersonale e aziendale.
Così, in una “famiglia organizzativa” non c’è bisogno di imporsi con autorità, potere o grazie alla propria posizione, poiché imporre la propria superiorità non sortisce effetti positivi nel favorire la partecipazione attiva e positiva dei collaboratori, ma è solo una convenzione “culturale”.
Ecco alcuni principi guida del “Sadhaka Management”:
• Il commitment e la fiducia dei collaboratori non si impongono, ma si guadagnano con l’esempio
• Solo un leader capace di auto-controllo mantiene il controllo .
• Solo in presenza di un leader autodisciplinato l’organizzazione è disciplinata
• Solo in presenza di un leader / guida umile , anche gli altri parlano e si comportano umilmente .
• È importante che il leader condivida la propria visione con i collaboratori che la faranno propria
• Il leader / guida privilegia il riconoscimento dei meriti dei collaboratori, prima ancora di ricercare il riconoscimento dei propri meriti.
• La voce di un gestore sadhaka mostra equilibrio e mitezza, toni misurati e parole misurate con amore, anche quando si utilizza l’efficacia e la fermezza .
• I progressi personali realizzati da un solo componente dell’organizzazione favoriscono il progresso di tutta l’organizzazione
• Il leader deve agire come un capo famiglia e preoccuparsi non solo dei collaboratori attuali, ma anche delle generazioni future (valore sociale dell’azienda n.d.r.)
• Un sadhaka manager non prende decisioni e si impone solo perché ha l’autorità per farlo. Il leader, a capo di un dipartimento o della famiglia è primus inter pares, primo fra pari. Così si informa, consulta ampiamente e lascia la decisione provenire dal consenso degli “altri”.
• Il Sadhaka manager utilizza l’empatia per entrare in sintonia con i collaboratori e modulare i suoi interventi. L’empatia non come reazione meccanica di rispecchiamento dei sentimenti altrui, ma come azione volontaria finalizzata alla reale comprensione degli altri, senza per questo farsi influenzare, semmai per “indirizzare” positivamente i collaboratori
Tutto quanto sopra esposto è frutto del pensiero filosofico della millenaria cultura “orientale”.
A parere di chi scrive, il grande valore filosofico di queste discipline dharmiche è la grande importanza che si attribuisce alla necessità della ricerca di un equilibrio interiore basato su principi di pace, rispetto per la persona, amore universale, trasferimento della saggezza, per raggiungere i quali vengono prescritte tecniche di meditazione, contemplazione ecc.- che, però, richiedono dedizione e tempo.
Poiché la predisposizione personale è importante nella scelta del percorso di crescita e auto-conoscenza, non è detto che a tutte le persone (soprattutto in occidente) sia congeniale l’applicazione delle discipline orientali.
Anche attraverso la sociologia, la psicologia, la filosofia occidentali vengono espressi i temi sopra descritti, cito ad esempio l’ottimo, a mio parere, libro di Daniel Goleman (1999 RCS Libri Spa)“ l’Intelligenza Emotiva” e, nello specifico, per richiamare i principi del Sadhaka management, si veda il capitolo 10 pag. 180 “Dirigere col cuore” e il cap. 7 a pag 124 “Le radici dell’empatia” e ancora “l’ABC dell’intelligenza emotiva a pag. 130 dove l’autore cita la “Scienza del Sé” e sottolinea l’importanza fondamentale dell’empatia come abilità sociale.
…Seguirà seconda parte dopo il XII Salone d’Impresa.